Il percorso che affrontiamo all' A.C.R si basa su un argomento preciso che varia annualmente e propone attività che ricoprono il periodo di tempo che va da Settembre a Maggio dell'anno successivo.
Il tema di quest'anno erano le quattro operazioni matematiche, riassunte nel titolo "C'è di più!":
+ = insieme si da di più!
: = condividere con...
- = le differenze
x = moltiplicare per..
Riporto qui sotto un link che vi manda al sito dell'Azione Cattolica di Padova, dove viene spiegato in modo più approfondito tutto ciò!!
Quanto leggerete è stato oggetto del convegno educatori 2010-2011 tenuto nel Seminario Minore di Rubano e presentato dal simpaticissimo Gigi Cotichella!!
Consiglio, per chi non c'era, di darci un occhiata :)
http://www.acpadova.it/now/2010-2011/facciamo-4-conti
lunedì 25 luglio 2011
venerdì 22 luglio 2011
L'ACR non è educativa solo per i bambini :)
L’episodio che qui riporto e che per me ha avuto valenza educativa è un’esperienza “negativa” ma educativa che ho vissuto in prima persona durante l’ACR e sulla quale ho avuto modo di riflettere molto. Essa si riferisce allo scorso anno, quando ero animatrice del gruppo 6-8 assieme a due animatori di due anni più giovani di me.
Una domenica mattina durante l’incontro un bambino,incurante del fatto che io stessi spiegando come svolgere l’attività, ha cominciato ad infastidire e sbeffeggiare le compagne creando con loro un clima di scontro, sostenuto e incitato dalle risate degli altri maschietti. Gli abbiamo chiesto più volte di smetterla ma senza nessun risultato: i nostri richiami al contrario sembravano incoraggiarlo a continuare. Si era creato nella stanza un clima tale da rendere impossibile il proseguimento dell’attività e la cosa mi infastidiva parecchio. D’impulso mi sono alzata, e dirigendomi verso di lui ho iniziato a sgridarlo urlandogli di smetterla e sottolineando che nessuno lo obbligava a venire all’ACR dato che non era la prima volta che lui aveva comportamenti simili.
Nell’aula si era creato un silenzio profondo e il ragazzino mi guardava stupefatto. Dopo la mia sfuriata sono riuscita a portare a termine l’attività anche se da parte dei bambini (e soprattutto di quello che avevo rimproverato) non ho riscontrato nessun tipo di entusiasmo: mi guardavano in modo strano quasi come avessero timore di me.
Anche al momento di salutarci il loro atteggiamento nei miei confronti era di distacco e molto più freddo rispetto al solito. Questo loro comportamento è stato per me fonte di riflessione su come mi ero comportata quel giorno e durante la settimana mi sono confrontata con gli altri animatori per cercare di trovare una soluzione alternativa che tenesse conto sia dei miei obbiettivi che delle esigenze dei bambini.
La domenica successiva la situazione si è verificata nuovamente e sempre con lo stesso bambino. Ma questa volta ,cosciente di ciò che era successo la settimana prima e delle riflessione fatte, ho gestito l’attività in modo diverso sedendomi in mezzo a loro e rendendo così l’incontro più interattivo. A questo punto non ero più io che impartivo loro un insegnamento ma ho cercato di far si che il messaggio alla base dell’attività fosso frutto dei loro interventi guidati da me. Ai bambini con qualche difficoltà di attenzione ho affidato dei compiti ,o meglio delle responsabilità, riuscendo così a tenerli occupati perché non fossero di disturbo al resto del gruppo e facendoli sentire utili.
Al termine dell’attività mi sono sentita pienamente soddisfatta; ero riuscita a raggiungere l’obbiettivo del mio lavoro con minor fatica rispetto alla volta precedente ed inoltre il clima del gruppo era sicuramente più sereno.
lunedì 18 luglio 2011
La comunicazione non verbale!!..
L’ACR è un modo per avvicinare il bambino alla chiesa e contribuisce, in maniera informale, a costruite la sua fede in base all’età.
Quest’anno sono stata responsabile del gruppo 9-11 e devo ammettere che non è stato per nulla semplice.
E’ difficile proporre giochi che coinvolgano tutti i ragazzini senza che nessuno sia escluso o si annoi disturbando gli altri.
Ricordo però in particolare un’occasione in cui l’attività è riuscita bene, e prenderò questo caso per spiegare un po’ più nel concreto di che cosa tratta ciò di cui ho parlato in questo blog.
Il tema centrale della giornata era la comunicazione non verbale ed avevamo chiamato il gioco “Parlare a specchio”: ogni bambino ha attaccato in fronte con un elastico un foglietto di carta con su scritta una parola(concreta o astratta). I bambini camminano sparsi per l’aula finché io non esclamo “VIA!!”. A questo punto devono formare velocemente delle coppie nelle quali ogni bambino senza parlare deve far capire a colui che gli sta davanti la parola che quest’ultimo ha in fronte. Una volta indovinata i ruoli vengono invertiti; e quando entrambi hanno individuato la loro parola vanno dall’animatore a farsi cambiare il cartellino sulla fronte e ricominciano a girare per la stanza alla ricerca di un nuovo compagno con cui comunicare.
Mi ha stupito veder come i bambini partecipavano dinamicamente a quest’attività e quanto fossero dispiaciuti quando questa è terminata. Tutto ciò ha annullato le mie titubanze e incertezze sull’esito positivo di quest’attività.
Ed ecco però che arriva il momento critico: quello post-gioco nel quale si devono tirare le fila dell’attività per cercare di comunicare a questi ragazzini qualcosa di utile, adattandolo al loro punto di vista e alla loro età.
E QUESTO NON E’ PER NIENTE FACILE: si dovrebbe essere in grado di coinvolgerli e intrattenerli, ma non sempre questo ci riesce.
Ci si potrebbe chiedere a questo punto: “ma che cosa centra la comunicazione non verbale con la fede??”.
Ecco, è proprio questa la domanda a cui cerchiamo di dare una risposta ed è anche ciò che dobbiamo trasmettere ai ragazzini durante l’ACR. Usare via alternative per comunicare loro la fede e i contenuti più spendibili quotidianamente della religione.
Credo che leggendo i post precedenti un po’ si possa intuire la risposta a questa domanda; cerco quindi di riassumere ugualmente ma in breve per non essere ripetitiva.
Dietro alla comunicazione non verbale ci stanno dei valori che non emergono in modo immediato. Tra questi vi sono per esempio: l’apertura, l’accettazione dell’altro e quindi la disponibilità ad entrare in relazione con lui, la collaborazione (talvolta un membro della coppia chiedeva aiuto ad un compagno vicino per spiegare al meglio la parola), la coscienza dei propri atti e la riflessione su di essi affinché la spiegazione risulti ottimale, la capacità di scegliere..e così via.
Tutti questi sono in un certo senso identificabili con quelli divulgati dalla Chiesa, ed in questo ambito sta a noi animatori creare tra le due polarità un ponte esplicito per i ragazzini.
E’ importante però non enfatizzare troppo questo aspetto poiché rischia di rendere il tutto noioso ed essere fonte di allontanamento dei bambini da questa attività, cosa che noi certamente non vogliamo!!
Parlare ai bambini di fede e religione a volte risulta essere un’ardua impresa probabilmente perché per loro si tratta di argomenti ancora molto astratti e irreali o perché tali contenuti vengono loro già proposti in altri ambienti (scuola, chiesa, catechismo).
I giochi proposti ,quindi, devono essere molto ben pensati e preparati affinché riescano bene nel loro obiettivo. Non sempre infatti se le attività non hanno successo è colpa dei bambini; in molti casi mi rendo conto che influisce ,tra le tante cose, per esempio la mia scarsa capacità di coinvolgimento ed intrattenimento la quale dovrebbe ancora potenziarsi. Sarebbe a mio parere interassante partecipare a dei corsi dove vengono insegnano strategie di coinvolgimento ; questo potrebbe aiutarmi a esplicare a il mio compito in modo sempre più efficace ed adeguato.
Quest’anno sono stata responsabile del gruppo 9-11 e devo ammettere che non è stato per nulla semplice.
E’ difficile proporre giochi che coinvolgano tutti i ragazzini senza che nessuno sia escluso o si annoi disturbando gli altri.
Ricordo però in particolare un’occasione in cui l’attività è riuscita bene, e prenderò questo caso per spiegare un po’ più nel concreto di che cosa tratta ciò di cui ho parlato in questo blog.
Il tema centrale della giornata era la comunicazione non verbale ed avevamo chiamato il gioco “Parlare a specchio”: ogni bambino ha attaccato in fronte con un elastico un foglietto di carta con su scritta una parola(concreta o astratta). I bambini camminano sparsi per l’aula finché io non esclamo “VIA!!”. A questo punto devono formare velocemente delle coppie nelle quali ogni bambino senza parlare deve far capire a colui che gli sta davanti la parola che quest’ultimo ha in fronte. Una volta indovinata i ruoli vengono invertiti; e quando entrambi hanno individuato la loro parola vanno dall’animatore a farsi cambiare il cartellino sulla fronte e ricominciano a girare per la stanza alla ricerca di un nuovo compagno con cui comunicare.
Mi ha stupito veder come i bambini partecipavano dinamicamente a quest’attività e quanto fossero dispiaciuti quando questa è terminata. Tutto ciò ha annullato le mie titubanze e incertezze sull’esito positivo di quest’attività.
Ed ecco però che arriva il momento critico: quello post-gioco nel quale si devono tirare le fila dell’attività per cercare di comunicare a questi ragazzini qualcosa di utile, adattandolo al loro punto di vista e alla loro età.
E QUESTO NON E’ PER NIENTE FACILE: si dovrebbe essere in grado di coinvolgerli e intrattenerli, ma non sempre questo ci riesce.
Ci si potrebbe chiedere a questo punto: “ma che cosa centra la comunicazione non verbale con la fede??”.
Ecco, è proprio questa la domanda a cui cerchiamo di dare una risposta ed è anche ciò che dobbiamo trasmettere ai ragazzini durante l’ACR. Usare via alternative per comunicare loro la fede e i contenuti più spendibili quotidianamente della religione.
Credo che leggendo i post precedenti un po’ si possa intuire la risposta a questa domanda; cerco quindi di riassumere ugualmente ma in breve per non essere ripetitiva.
Dietro alla comunicazione non verbale ci stanno dei valori che non emergono in modo immediato. Tra questi vi sono per esempio: l’apertura, l’accettazione dell’altro e quindi la disponibilità ad entrare in relazione con lui, la collaborazione (talvolta un membro della coppia chiedeva aiuto ad un compagno vicino per spiegare al meglio la parola), la coscienza dei propri atti e la riflessione su di essi affinché la spiegazione risulti ottimale, la capacità di scegliere..e così via.
Tutti questi sono in un certo senso identificabili con quelli divulgati dalla Chiesa, ed in questo ambito sta a noi animatori creare tra le due polarità un ponte esplicito per i ragazzini.
E’ importante però non enfatizzare troppo questo aspetto poiché rischia di rendere il tutto noioso ed essere fonte di allontanamento dei bambini da questa attività, cosa che noi certamente non vogliamo!!
Parlare ai bambini di fede e religione a volte risulta essere un’ardua impresa probabilmente perché per loro si tratta di argomenti ancora molto astratti e irreali o perché tali contenuti vengono loro già proposti in altri ambienti (scuola, chiesa, catechismo).
I giochi proposti ,quindi, devono essere molto ben pensati e preparati affinché riescano bene nel loro obiettivo. Non sempre infatti se le attività non hanno successo è colpa dei bambini; in molti casi mi rendo conto che influisce ,tra le tante cose, per esempio la mia scarsa capacità di coinvolgimento ed intrattenimento la quale dovrebbe ancora potenziarsi. Sarebbe a mio parere interassante partecipare a dei corsi dove vengono insegnano strategie di coinvolgimento ; questo potrebbe aiutarmi a esplicare a il mio compito in modo sempre più efficace ed adeguato.
giovedì 7 luglio 2011
ma...che cos'è una animatore??
Un animatore A.C.R. credo sia il risultato dell’unione tra un educatore ed un animatore dei villaggi turistici.
Alla serietà dell’uno si unisce la “felicità” e giocosità dell’altro: egli infatti deve essere capace di creare attività con un preciso obbiettivo facendo uso di giochi coinvolgenti e soprattutto divertenti per i ragazzi.
Credere in quello che fa, gli consente di svolgere questa attività in modo più fruttuoso sia per se che per gli altri.
Non ci si improvvisa animatori, ma l’esserlo è frutto di una vocazione, o meglio ancora di una predisposizione che si sviluppa e viene coltivata dentro di noi per esempio partecipando sin da piccoli all’A.C.R. o facendo altre attività di volontariato.
È vero infatti che chi vi ha preso parte sin da bambino è più spronato a continuare il percorso intrapreso diventando animatore una volta cresciuto, convinto di ciò che sta facendo.
“L’animatore A.C.R. deve saper divertire gli altri ma soprattutto deve DIVERTIRSI nel farlo”.
Questo è in un certo senso lo slogan degli animatori della mia parrocchia e sta proprio a significare che se l’animatore non si diverte vuol dire che forse non è adatto a rivestire questo ruolo, e deve essere sincero nell’ammetterlo.
I bambini hanno la straordinaria capacità di cogliere i nostri sentimenti anche se non ce ne rendiamo conto. Per cui un animatore disinteressato annoiato da ciò che fa, trasmette quest’attitudine anche ai ragazzi che a loro volta di certo non saranno partecipi e attivi.
È un circolo vizioso:
l’animatore non si diverte, i ragazzi lo capiscono e nemmeno loro cercano di divertirsi e partecipare, e di conseguenza l’animatore risulterà ancora più scocciato e meno invogliato nel fare A.C.R.
Egli deve capire che comunica in ogni momento con i bambini, sia in modo verbale che non verbale.
Molti bambini si confidano con noi animatori se hanno qualche problema prendendoci come punto di riferimento; ci sentono vicini a loro in quanto condividiamo e partecipiamo ai loro giochi ma nello stesso momento ci reputano grandi quanto basta per poterli aiutare.
Siamo dei fratelli maggiori: fungiamo da modello e da punto di riferimento; loro copiano ciò che noi facciamo e reputano “giusto” il modo in cui noi ci comportiamo.
Questo non solo durante l’ora di A.C.R. ma anche per strada, al supermercato o in chiesa.
In qualsiasi luogo e momento noi siamo animatori/educatori: è qualcosa che connota la nostra esistenza in modo indelebile.
Io stessa ricordo ancora i miei animatori e il modo in cui li vedevo e consideravo.
L’essere animatore è un attività legata alla chiesa, e questo è uno dei motivi per cui il numero degli animatori è scarso in alcune parrocchie: un pregiudizio molto diffuso che reputa l’animatore una persona troppo seria e non capace di divertirsi!!!
Questo è uno dei motivi per i quali soprattutto i giovani si allontanano da questa attività, considerando eccessivamente importante il giudizio degli altri su di loro.
“io vorrei fare l’animatore ma se lo faccio i miei amici mi prendono in giro”: mi ha detto l’estate scorsa un ragazzo quando gli ho proposto di venire a fare l’animatore.
Intraprendere questa attività di volontariato significa molte volte fare delle piccole scelte, sacrificare qualcosa per dire si ad altro che magari ci diverte meno: passare una sera alla settimana a programmare attività, trovarsi qualche pomeriggio per concludere le ultime cose rinunciando a qualche impegno, svegliarsi presto la domenica mattina per andare a messa e poi all’A.C.R., non andare a letto tardi il sabato altrimenti ci si sveglia come zombie impresentabili e così via…
Sacrifici che comunque non risultano di peso eccessivo se ciò per cui lo si fa ci interessa veramente.
Molti si chiederanno cosa ci si guadagna a fare l’animatore ovvero cosa spinge a farlo se oltretutto è anche un attività di volontariato.
Beh, per rispondere a questa domanda riporto la parere di un parroco a cui è stata posta questa domanda durante un seminario a cui ho assistito:
“al piccolo principe la volpe risponderebbe che ci guadagna il colore del grano”.
I rapporti con le persone danno ricchezza e ci permettono di toccare con mano l’immenso valore della vita.
L’A.C.R. fa si che sviluppiamo molte capacità quali quella dell’ascolto, della condivisione e dell’apertura all’altro e fa emergere le nostre potenzialità magari rimaste fino ad ora nascoste!
Le difficoltà e i problemi che possiamo incontrare volgendo quest’attività sono infiniti poiché si ha sempre a che fare con tante persone, tutte diverse e con mille aspettative!
Il punto di forza di ogni animatore? Beh, sicuramente il gruppo animatori con cui lavora che in ogni momento è di sostegno, se tra di loro c’è coesione!!
:)
Il punto di forza di ogni animatore? Beh, sicuramente il gruppo animatori con cui lavora che in ogni momento è di sostegno, se tra di loro c’è coesione!!
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